Femminicidio, “l’ha bruciata ancora viva”: ergastolo definitivo
Sentenza definitiva della Cassazione: ergastolo a Pietro Morreale, il ragazzo che a Caccamo ha tramortito e poi bruciata viva la sua fidanzata. I dettagli.
Lui, Pietro Morreale, 23 anni, di Caccamo, in provincia di Palermo, l’indomani dell’omicidio della sua fidanzata si è presentato ai Carabinieri e ha raccontato: “La mia ragazza dopo una lite si è prima incendiata, e poi si è buttata in un burrone”. La verità, sigillata adesso dalla Cassazione, e che lui l’ha aggredita e tramortita colpendola con un sasso. Poi le ha appiccato il fuoco addosso, ancora viva. Poi l’ha gettata in dirupo”.
I giudici della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso come inammissibile e hanno confermato la condanna all’ergastolo a carico di Morreale sentenziata in primo grado dalla Corte d’Assise di Palermo il 12 ottobre del 2022, e poi in secondo grado dalla Corte d’Assise d’Appello il 27 novembre del 2023.
Lei, la fidanzata, Roberta Siragusa, è stata brutalmente assassinata a 17 anni di età, il 23 gennaio del 2021. Dopo alcuni giorni, i Carabinieri, da subito scettici sul racconto di lui secondo cui lei si sarebbe uccisa appiccandosi il fuoco addosso e poi lanciandosi giù in un burrone, lo hanno arrestato per omicidio pluri-aggravato. Il rapporto tra Morreale e Siragusa è stato burrascoso. Nel corso del dibattimento in Aula sono emersi 33 episodi di violenza commessi da lui nel corso del tempo contro di lei. E poi il video di una telecamera di sorveglianza nella zona dell’efferato delitto, che è stato proiettato innanzi ai giudici in occasione dell’incidente probatorio, ed in cui è stata registrata l’agonia della sventurata, che brucia divorata dalle fiamme per almeno 5 minuti. E a poca distanza è posteggiata l’auto di Morreale, nei pressi dello stadio comunale, dove la coppia si è appartata dopo avere litigato, e dove sono state trovate anche le chiavi di Roberta. E poi le macchie del suo sangue sono state rinvenute nell’automobile di lui. Pietro Morreale avrebbe assistito a quanto accaduto seduto in auto, poi avrebbe caricato il cadavere sull’automobile e poi lo avrebbe lanciato giù in una scarpata nelle campagne di Caccamo. Lei avrebbe voluto separarsi da lui, e lui non si sarebbe rassegnato, tanto che, al culmine dell’ennesimo diverbio, l’ha aggredita col sasso, le ha gettato addosso del liquido infiammabile conservato in automobile, e l’ha arsa viva. Durante la stessa notte i genitori di Roberta gli hanno telefonato. Lui, verosimilmente per crearsi un alibi, ha inviato dei messaggi al telefonino di lei, scrivendole: “Dove sei. Sono preoccupato”.
Al processo si sono costituiti parte civile i genitori, il fratello, e la nonna di Roberta. Il condannato risarcirà la madre della vittima, Iana Brancato, per 225mila euro, il padre, Filippo Siragusa, per 229mila euro, il fratello Dario per 209mila euro, e la nonna, Maria Barone, per 117mila euro. Risarcirà anche il Comune di Caccamo, parte civile, con una provvisionale esecutiva di 15mila euro. A difesa delle parti offese e civili hanno lavorato gli avvocati Giovanni Castronovo, Giuseppe Canzone, Simona La Verde e Sergio Burgio.
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