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“Depistaggio”, a processo due Carabinieri e un Poliziotto

Mafia e depistaggio: il Tribunale di Caltanissetta ha rinviato a giudizio due generali dei Carabinieri e un ispettore di Polizia. I dettagli sul capo d’imputazione.

Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha rinviato a giudizio i generali dei Carabinieri, adesso in pensione, Angiolo Pellegrini, storico collaboratore del giudice Giovanni Falcone, e Alberto Tersigni. Sono imputati di depistaggio. A processo anche l’ex poliziotto Giovanni Peluso, al quale si contesta l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Pellegrini e Tersigni, per tanti anni in servizio alla Dia, la Direzione investigativa antimafia, avrebbero ostacolato le indagini della Procura nissena a riscontro delle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio, ex agente della Polizia penitenziaria, arrestato allorchè reggente della famiglia mafiosa di Resuttano, in provincia di Caltanissetta. Nei primi anni 2000, Pellegrini e Tersigni hanno gestito il collaboratore della giustizia Riggio, sulla cui attendibilità, però, molte Procure hanno più volte espresso dubbi. E i due ufficiali dei Carabinieri non avrebbero approfondito e valorizzato, in termini investigativi, le rivelazioni di Riggio, all’epoca loro confidente, che, tra l’altro, avrebbero consentito la cattura del latitante Bernardo Provenzano e la scoperta di un progetto di attentato all’ex giudice del pool antimafia Leonardo Guarnotta. L’ex ispettore di Polizia, Giovanni Peluso, invece, avrebbe agevolato Cosa nostra, tra l’altro favorendo la latitanza dello stesso Provenzano. Al secondo processo per la strage di Capaci, Pietro Riggio, in riferimento a Giovanni Peluso, ha raccontato: “Peluso mi disse: ‘Brusca ancora è convinto che l’ha premuto lui il telecomando’. Fu una frase che mi allarmò moltissimo, mi sentii raggelare. Fu proprio una frase secca. Si era sempre saputo che era stato Brusca, insomma la mafia, ma in quel momento ho capito che altre persone si erano interessate a quella strage. E soprattutto ho capito che mi trovavo in pericolo e che stavo giocando un ruolo più grande di me. Giovanni Peluso mi raccontò anche che quando un magistrato partiva con un aereo, al momento del decollo non si sapeva mai dove fosse diretto, era una cosa che si sapeva dopo. Mi disse che la telefonata per avvisare dove sarebbe atterrato Falcone era partita da un parlamentare di Caltanissetta, che lo avrà saputo da altri soggetti direttamente in aeroporto alla partenza: una segnalazione arrivata mentre Falcone è in viaggio a diecimila metri, praticamente. Ricordo un altro incontro con Giovanni Peluso, all’uscita dell’autostrada allo svincolo per Resuttano. Peluso era a bordo di un’automobile guidata da una donna. Seduto dietro, anche un altro uomo che risponderebbe al nome di Filippo. Sono rimasto colpito dalla sua faccia: è tutta butterata, come se avesse subito un qualche incidente, qualcosa. Mi diceva che Peluso mi voleva veramente bene, che lo dovevo ascoltare. Poi ho avuto modo di rivedere quella faccia in alcune fotografie, capii che si trattava di un certo Aiello, lo chiamavano faccia da mostro”. Prima udienza del processo a Pellegrini, Tersigni e Peluso il 14 gennaio innanzi al Tribunale di Caltanissetta.

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