AgrigentoCultura e spettacoliPrimo Piano

AGRIGENTO VISTA DA CARDINALI, PREFETTI, QUESTORI E PROCURATORI  

di Diego Romeo

Ma quanto siamo decaduti, logorati e assetati!!. Eppure ci furono anni
nella Prima Repubblica (continuamente a rischio di essere rimpianta) in cui
l’Agrigento democristiana tenne buoni rapporti con l’Ungheria e la Cecoslovacchia
del 1967. L’autore fu Enzo Lauretta che proprio in quegli anni diede vita al
Convegno di Studi pirandelliani che oggi viene costretto a trasferirsi a Palermo da
amministrazioni comunali (da Zambuto a Firetto a Miccichè) che non sono riuscite a
dargli quel necessario sostegno e a capirne l’importanza. Lauretta oltre a portare ad
Agrigento critici e letterati di varie nazioni, instaurò con questi due paesi dell’est uno
scambio culturale e teatrale per quel tempo di assoluta novità. E così accadde che il
piccolo Teatro Pirandelliano (con gli attori Pino Cirami, Giulio Cristallini, Pippo
Montalbano e Giovanni Russo Archeoli) si recò in Cecoslovacchia per rappresentare
“La Giara” di Pirandello nella città di Svitavi a nord di Praga mentre in estate una
compagnia teatrale di Svitavi venne ad Agrigento a rappresentare in cecoslovacco
“La Giara”. Sempre in quegli anni il teatro nazionale ungherese fu ospite di
Agrigento mettendo in scena, in lingua ungherese, al “supercinema” Il berretto a
sonagli con alcuni dei più grandi attori magiari. Spettacolo che qualche sera dopo fu
ospitato dal Massimo di Palermo con la presenza dell’ambasciatore ungherese e
rappresentanti delle istituzioni regionali. Oggi cosa ha da dire la città designata a
capitale della cultura 2025?. Cosa ha da dire in maniera ecumenica e non separatista,
un sindaco designato nel corso di una sconcertante manifestazione al Teatro
Pirandello, primo cittadino dell’Isola Ferdinadea che sta sommersa a poco più di dieci
metri di fronte la costa saccense? Anche su un giornale di Pesaro, capitale della
cultura 2024, è stato avvertito il serio imbarazzo di Agrigento, capitale nel 2025. Una
designazione che appare una condanna per una città mummificata in un “tool
temporale” che inizia col primo referendum costituzionale dove Agrigento votò
monarchia e non repubblica per approdare a due anni fa allorchè in piena campagna
elettorale il candidato Lillo Pisano di FDI (sorpreso ad inneggiare a Hitler in un post
giovanile) fu sospeso dal partito e però fu votato unanimemente dagli agrigentini che
lo elessero in Parlamento. In anni recenti le istituzioni hanno fatto sentire la loro
voce, quella del Cardinale Montenegro che in una omelia definì la nostra città “fiore
appassito dai petali calpestati”, pochi mesi fa la relazione del prefetto Cocciufa
avvertiva “non sempre all’altezza dei complessi compiti e con apparati
amministrativi caratterizzati da carenze di professionalità” e con una  cittadinanza,
che non offre modelli positivi di reazione a gravi fenomeni. La povertà culturale, non

disgiunta da quella economica, determina una situazione di arretratezza nella quale
continuano a proliferare le regole dettate dalla criminalità organizzata”. Le fece eco
il cartello sociale agrigentino:” Le sue considerazioni sposiamo totalmente nel merito
e nel metodo. Auspichiamo che su questo quadro tristemente fosco si possa avere una
forte reazione dell’opinione pubblica per non lasciare sole le forze dell’ordine e la
magistratura a contrastare le strategie della mafia e della criminalità organizzata. In
questo senso auspichiamo altresì che la politica buona dia il suo contributo alla
causa recuperando anche la dimensione pedagogica nel suo impegno quotidiano”. 
Buon ultimo il procuratore Patronaggio, oggi a Cagliari, che indicava Agrigento
afflitta da tre gravi virus. A ben guardare—scriveva il Procuratore– questi eclatanti
fatti di sangue nascondono tre virus, ormai endemici, nella società agrigentina:
l’ignoranza, l’arretratezza culturale e la mancanza di una robusta rete sociale
accogliente e solidale . Partendo proprio dall’ ultimo di questi tre virus, va osservato
che quando una comunità riconosce se stessa e condivide i propri valori, si adopera
affinché nessuno dei suoi membri resti indietro ed isolato, difficilmente si
verificheranno sorprendenti  episodi violenti, proprio perché la comunità conosce i
suoi membri e ne riconosce criticità e bisogni. I due virus gemelli della  ignoranza e
della arretratezza culturale di non indifferenti strati della popolazione agrigentina,
generano infine altri episodi di inaccettabile violenza. Appare infatti incredibile che
in questa provincia debbano ancora scoppiare risse per uno sguardo di troppo ad
una donna, che sgarbi lievi provochino faide familiari infinite, che questioni di
interesse, risolvibili davanti al più modesto dei giudice di pace, inneschino scoppi di
violenza inaudita. Ignoranza e sfiducia verso le pubbliche autorità – ad onor del
vero sempre più attrezzate e all’altezza dei compiti loro devoluti – e sulla loro
capacità di prevenire e risolvere conflitti familiari e sociali, rendono ancora più
scivoloso ed inaffidabile il terreno della conciliazione e della auspicata giustizia
riparativa. L’incapacità della scuola, e della cultura in senso lato, a raggiungere gli
strati più marginali della società agrigentina ha fatto sì che ancora oggi in una
società moderna, aperta, ipertecnologica e sempre più connessa, si ragioni con la
stessa logica ottocentesca  dell’onore e della “roba”. Pur non disconoscendo che
all’interno della società agrigentina si annoverano intelligenze fini ed eccellenze,
esperienze associazionistiche esaltanti e slanci solidaristici commoventi, resta il
triste dato in commento dei numerosi fatti di sangue per i quali una spiegazione ed
una soluzione deve pur doverosamente  tentarsi”. Da queste valutazioni non ne esce
indenne perfino la periferia marina di san Leone. “A mia figlia consiglierei di non
metterci piede a san Leone”- rivelò in una intervista il questore Ricifari che comprese
molto bene l’ambiente agrigentino e che fu trasferito dopo appena otto mesi di
residenza.. Questa filiera di analisi istituzionale non scosse più di tanto Agrigento e
continua a non scuoterla anche oggi. Tutto è scivolato via come gocce d’acqua su
impermeabile. Con questo retroterra (che a Pesaro conoscono benissimo oltre a
Vittorio Sgarbi che tifava Orvieto) cosa dovremmo dire nel 2025 al mondo
globalizzato, oltre alla retorica dei templi e di Pirandello? Eppure qualcosa ancora potremmo fare perché c’è uno scrittore nostrano reo confesso di non aver letto un libro(sic) che surclassa queste analisi e continua ad additare come detrattori sociali quanti denunciano inadempienze e lacune amministrative senza chiedersi se siano detrattori sociali i rappresentanti dello Stato  con le loro dichiarazioni che abbiamo ricordato. Sarà mai il solito complotto demo-pluto-massonico? E comunque bisogna dirla al New York Time questa discrasia della libertà di espressione che nel nostro piccolo diventa un fenomeno socioculturale da esporre alle visite dei turisti. Con un modico tiket.

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