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UN GIORNALE TRA HACHERAGGI E STRANE AGGRESSIONI NELLA CITTA’ DELLA “FOLLIA AMMINISTRATIVA”

Intervista di Diego Romeo a Gianni Morici

Sei editore del quotidiano online “Lavalledeitempli.net”, non iscritto all’albo italiano dei giornalisti, riconosciuto come giornalista professionista in Francia, dove hai vissuto parte della tua carriera.  Hai subito decine di attacchi da parte di hacker a tuo sito e anche una strana aggressione personale. Possiamo dedurre come sia difficile fare una certa informazione…

– Sì, oltre a essere stato il responsabile della rubrica di inchieste di un giornale francese, ed essere quindi in possesso di tesserino francese, la mia qualifica di ‘giornalista professionista’ in Francia risulta anche da una sentenza del tribunale di Parigi… ad oggi collaboro ancora con una testata francese come corrispondente dall’Italia. Di operazioni di hackeraggio, tanto al sito quanto in termini di intrusioni alle mie e_mail, ne ho subite parecchie. In particolare ricordo quando gli articoli del mio giornale vennero cambiati nella loro totalità con scritti in russo in carattere cirillico, che portavano a  indirizzi del Dark Web dove era possibile acquistare armi e droga. Ho dovuto immediatamente disconnettere il sito dalla rete e presentare denuncia. Passarono alcuni giorni prima che riuscissimo a ripristinare il sito… l’episodio a cui fai riferimento è avvenuto il 20 marzo, quando dopo cena facendo due passi nel centro storico di Agrigento, un uomo, con una felpa scura e il cappuccio alzato, arrivandomi da dietro ha tentato di stringermi al collo una corda semirigida. Una vicenda alla quale non sono riuscito a dare una chiara chiave di lettura.Svariate le ipotesi comparse anche sulla stampa, qualcuna delle quali riconduceva l’evento a una mia presunta vicinanza ad alcuni ambienti dei servizi segreti. Una tesi rispetto la quale colgo l’occasione per darne smentita. Fare informazione è sempre difficile, tanto che ci si occupi di tematiche locali quanto se i tuoi interessi spaziano in altri settori. Devi sempre mettere in conto la possibilità di farti inimicizie, trascorrere intere giornate con il tuo avvocato e nelle aule giudiziarie, e nei casi più gravi anche possibili aggressioni fisiche…

C’è però una storia di ‘infitrazione’ che solo tu potresti narrare e precisare

– Ti riferisci al periodo in cui mi ritrovai, per una serie di circostanze fortuite, a essermi infiltrato nei gruppi segreti che lo Stato Islamico aveva sui social. Una vicenda che ebbe risonanza anche sui grandi media italiani, oltre che su quelli francesi. Da molti anni seguivo le vicende relative al terrorismo islamico e ritrovandomi poi a scrivere di geopolitica e terrorismo, approfondii gli argomenti confrontandomi con il variegato mondo dei ribelli delle cosiddette ‘primavere arabe’. Per caso mi imbattei inShadi, un ribelle che in Libia combatteva il governo di Gheddafi. Avevo visto che Shadi, su un altro computer usava un diverso profilo del quale scaricai i dati. Quando venne catturato e ucciso in Siria, avendo assistito alla sua uccisione tramite un video collegamento con un combattente dell’Esercito Libero Siriano, ebbi l’idea di appropriarmi del nome di battaglia che utilizzava per il secondo profilo, entrando in contatto con i suoi “amici”. Grazie alle conversazioni private che avevo avuto con lui, sapevo che questi soggetti non lo conoscevano personalmente e non sapevano della sua morte. Mi ritrovai catapultato in un mondo sconosciuto, quello dei gruppi segreti dell’ISIS e dei canali social e Telegram che loro usavano per propagandare la loro ideologia e fare proselitismo. Ma anche per organizzare azioni militari e di terrorismo. La chiave che mi permise di entrare in contatto con figure di primo piano del terrorismo islamico, furono Anjem Choudary e Mizanur Rahman, estremisti londinesi i cui profili risultavano collegati a me. Dalla mia iniziale attività giornalistica, scaturirono diverse indagini che portarono ad arresti ed espulsioni anche in territorio italiano.Anche questa esperienza non era priva di rischi, poiché il pericolo di essere scoperti poteva comportare serie conseguenze sul piano dell’incolumità personale, ma anche per un’attività che poteva facilmente essere fraintesa da parte di investigatori che in quel momento conducevano indagini sul terrorismo.Forse anche questo ha contribuito a far pensare a una mia presunta vicinanza a servizi segreti.

Quali aspetti e argomenti hai trattato recentemente sul tuo giornale?

– Oltre che di geopolitica – di recente un po’ meno di terrorismo – mi sono occupato del possibile coinvolgimento di appartenenti ai servizi nelle stragi di terrorismo domestico  a partire dagli anni ’70, fino ad arrivare alle stragi del ’92. Sono stato anche tra coloro che hanno sostenuto la necessità di ‘riesumare’ il dossier mafia-appalti, l’indagine condotta dai Ros del generale Mario Mori, come possibile concausa delle stragi di Capaci e via D’Amelio che portarono alla morte di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli uomini delle scorte. Purtroppo, quello che a mio parere doveva essere un punto di partenza per dare una lettura a quegli eventi, noto che la si vuol trasformare in un punto di arrivo attribuendo alla sola mafia quei gravissimi fatti di sangue. Basti pensare alla strage di Capaci, un’azione militare a tutti gli effetti, così come ben spiegata nella relazione a firma del generale Fernando Termentini al processo “Capaci bis”. Con Termentini, un caro amico di recente scomparso, ci eravamo più volte confrontati sull’argomento. Uno degli uomini più preparati – come tale riconosciuto -in materia di esplosivi. La recente narrativa, frutto a mio modesto avviso di incompetenza, ma forse peggio, tende invece a mettere una pietra tombale su quelle vicende attribuendo a quattro pecorai non solo le motivazioni ma anche gli aspetti tecnici che non possono essere opera di quella bassa manovalanza che rappresenta “Cosa nostra”. Questa mia divergenza di opinioni ha portato all’allontanamento di molti “amici”, più o meno virtuali, appartenenti al mondo dell’informazione, a quello investigativo e a vario titolo a quello giudiziario. Il principio è quello che “o sei con noi o sei contro di noi”. Io non sono “con” né “contro”, e questo in ultimo mi crea inimicizie su entrambi gli schieramenti – autentiche tifoserie calcistiche – che sono venuti a crearsi. Delle stragi, del coinvolgimento di appartenenti ad apparati di sicurezza, dell’attentato dell’Addaura contro il giudice Falcone, e di altri aspetti come Gadio, il pentito Armando Palmeri e di traffici di rifiuti nucleari e radioattivi, ho scritto più volte, anche nel corso di interviste con Riccardo Sindoca, ex 007 oggetto anche di recenti dossieraggi, e Katia Sartori, la criminalista che prima di tutti individuò nei pizzini di Matteo Messina Denaro la grafia che indiscutibilmente apparteneva allo stesso, come poi confermato dal boss a seguito del suo arresto. In particolare, proprio in riferimento allo scambio epistolare avvenuto tra l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino (nei pizzini Svetonio) e Matteo Messina Denaro (Alessio), avendo conosciuto Vaccarino ed essendomi con lui confrontato per anni, non posso condividere la maniera in cui il film “Iddu – L’Ultimo Padrino” ha voluto narrare una storia  infarcendola di fantasie (come affermato dagli stessi registi) che non soltanto non rappresentano la realtà dei fatti, ma a mio parere non sono funzionali a far perdere alla mafia quell’alone di “rispettabilità”, se così vogliamo chiamarla, che le ha permesso ad oggi di sopravvivere e infiltrare ogni tessuto sociale.

Non ti sembra che Agrigento stia attraversando un periodo di “follia amministrativa” che è diventata una sorta di leit motiv?

– Da anni preferisco non parlare e non scrivere della città in cui vivo. Conosco bene, purtroppo,la realtà agrigentina e quella del mondo dell’informazione. Agrigento è destinata a rimanere una misera cittaduzza gestita da poteri che non appartengono alla città. Mi ricorda tanto i governi fantoccio che gli americani creano nei territori di conquista. Autentiche colonie con a capo un ras a cui vengono tirate le fila. Il ruolo della stampa, è questo che vuoi chiedermi? La stampa non ha un ruolo in questa città. Pochissime testate possono dire di essere libere nel fare informazione. La colpa viene spesso data ai giornalisti, ma non è così. il problema agrigentino, ma anche italiano, è quello che non esiste l’editore puro, ovvero colui che guadagna solo dalla vendita del proprio prodotto. Il giornalista, per quanto bravo sia, deve passare al vaglio di un redattore che decide se pubblicare o meno un articolo. A sua volta, un caporedattore deve rendere conto a un editore che impone le proprie scelte editoriali secondo interessi che nulla hanno a che vedere con il mondo dell’informazione. Accordi e pressioni politiche; pubblicità, anche istituzionali, che dipendono dalla benevolenza del potentino di turno verso questa o quell’altra testata; il timore di minacce da parte di piccoli e grandi malavitosi, la paura di querele temerarie, mettono il bavaglio alla stampa. Questo senza voler considerare aspetti di puro servilismo innato da parte di taluni soggetti. Se non scrivo di questa città, un motivo deve pur esserci, non credi? Ti faccio un esempio. Anni fa, mentre mi trovavo a Parigi, ebbi notizia di un noto parlamentare agrigentino che era stato indagato perché stando alle dichiarazioni di un pentito era coinvolto in un omicidio di mafia. Una vicenda che era stata archiviata. Ne avevo scritto narrandone i fatti, archiviazione compresa, chiedendomi come mai prima che la vicenda fosse stata archiviata la stampa locale non ne avesse fatto cenno. Eppure la notizia c’era… Apriti cielo, venni accusato di volere interferire con le elezioni del momento… Da chi? Da coloro i  quali si erano sottratti al dovere di informare i propri lettori. Questo te la dice lunga. Paura delle ripercussioni che avrebbero potuto subire? Rapporti personali con l’allora indagato? Ragioni di opportunità politica? Quale che fosse la ragione non cambia la realtà delle cose. C’è un bavaglio e chi gestisce potere sa bene come utilizzarlo. A volte ho come l’impressione che sui social si faccia più informazione di quanta non ne legga sulla stampa. Non ti nascondo che anche io mi trovo spesso a confrontarmi e leggere analisi di utenti social. Certo, è una giungla dove c’è di tutto. Da chi si spaccia per ciò che non è a chi fa copia/incolla dei post di atri senza alcuna verifica e tal volta attribuendoseli. Un autentico zoo. Ma anche in quello che apparentemente è uno zoo, trovi soggetti che non ti aspetti. Persone che conoscono gli argomenti di cui parlano, capaci di fare analisi politiche, di carattere sociale, ma anche di addentrarsi in tematiche da “addetti ai lavori”. Nascono così rapporti di confronto e arricchimento reciproco. Talvolta sono rimasto sorpreso di come persone al di fuori di determinati ambienti siano state capaci di analizzare un fatto, arrivando persino prima di me – che non sono digiuno in merito agli argomenti trattati – a considerazioni che mi hanno indotto a più attente riflessioni. Bisogna solo saper “scremare” questa informazione social e avere la capacità di individuare le persone con cui vale la pena di confrontarsi. Nulla di diverso da ciò che accade nella vita quotidiana. Leggo i giornali? Sì, con grande fatica perché devi sempre cercare di capire più ciò che non viene scritto che quello che leggi. Se questo accade per quanto riguarda l’informazione a livello nazionale, a livello locale posso solo dirti che ad accezione di poche testate preferisco di gran lunga leggere i post su Facebook, quantomeno se proprio non riescono a farti ridere, non ti fanno piangere spacciando per notizia ciò che non lo è o non dando notizia di ciò che dovrebbe esserlo.

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