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Non sarò mai fascista, nè totalitarista (4 settembre 2019 Facebook)

di Nicolò D’Alessandro

Sono nato alla fine del fascismo cinque mesi prima del 25 aprile 1945, anno della liberazione dal nazifascismo in Italia, giusto in tempo per entrare nella nuova fase politica e sociale. Ho vissuto tutte le difficili fasi della crescita della democrazia. Sin dalla giovanissima età ho respirato il clima del cambiamento, della speranza, del confronto, della condivisione e della tolleranza. La prospettiva di un futuro democratico. Ho vissuto il grande balzo in avanti del periodo del “boom economico” che ha fatto cambiare le nostre abitudini. Grazie anche al sacrificio dei nostri padri e delle nostre madri che venivano dalla guerra. Questo periodo ci ha restituito il senso del vivere.

Il mutato clima politico ha comportato negli anni una faticosa e dura resistenza verso coloro, ubriachi del regime trascorso, che facevano fatica a capire che quel passato era morto. Non è stato facile per quelli che, sulla loro pelle, avevano combattuto questo cancro. Non è stato facile neanche per la nostra generazione metabolizzare la tragedia del fascismo e imparare a vivere la nuova democrazia nascente. Alla Giovane Italia e al M.S.I., che per molti anni hanno cercato di sopravvivere, abbiamo cominciato a contrapporre noi militanti di sinistra e giovani democratici, una più lucida visione verso la libera coscienza. La nostra passione, verso qualcosa che non si conosceva veramente, ha motivato la nostra spinta verso idee di progresso. Diventammo noi giovani antifascisti e con l’irruenza tipica della gioventù, prima timidamente poi sempre più consapevolmente ad occuparci di politica.

Sostenuti dai fondatori del P.C.I., il più grande partito comunista dell’Europa occidentale, e dai reduci oppositori al regime, seguivamo la politica di Palmiro Togliatti, fedele al comunismo sovietico, che ebbe una decisiva influenza per la formazione della nascente Repubblica Italiana. Nel 1976 il PCI registrava il suo massimo storico di consenso e nel 1984, sull’onda emotiva della morte improvvisa del segretario Berlinguer, il P.C.I. fu con nostro grande orgoglio, per breve tempo, il primo partito italiano. Dopo alcuni anni il segretario Achille Occhetto dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989 e il crollo dei Paesi comunisti, nel 1991, sciolse il partito. Con occhi lucidi di pianto diede vita a una nuova formazione politica di stampo socialdemocratico fondando il Partito Democratico della Sinistra. Una parte minoritaria, guidata da Armando Cossutta, contraria alla necessaria svolta, fondò Rifondazione Comunista. Mentre Alcide De Gasperi, si allontanava dall’influenza sovietica, il PCI rimase fedele alle direttive politiche generali dell’Unione Sovietica fino agli anni settanta e ottanta, pur sviluppando nel tempo una politica sempre più autonoma e di accettazione della democrazia soprattutto sotto la guida di Enrico Berlinguer, sostenitore del “partito morale”, che promosse il compromesso storico e la collaborazione con i partiti comunisti occidentali con l’eurocomunismo.

Discutevamo con grande passione di tutto, orgogliosi di essere compagni. Frequentavamo le sezioni e le feste dell’Unità che costituivano i luoghi deputati per riconoscersi e sentirsi italiani democratici. Comunisti convinti, abbiamo attraversato tutte le fasi politiche che hanno caratterizzato le sorti dell’Italia. La voglia dell’appartenenza e di emancipazione ci hanno portati a studiare, leggere Marx, Engels, Gramsci ad aprire gli occhi al mondo, contrapponendo Fidel Castro e Che Guevara al fascismo, ai sostenitori nostalgici di Mussolini, di Francisco Franco (1960), del maresciallo Josip Broz Tito (1963) e a leggere criticamente questi fenomeni nella direzione dell’oggi. Crollato il muro di Berlino, trenta’anni fa il PCI dovette cambiare per non rimanere schiacciato dalle macerie del Novecento. Leggevamo di tutto sostenuti da un fiorire di riviste culturali e d’impegno politico ormai scomparso. Ci nutrivamo delle poesie di Rafael Alberti, Pablo Neruda, Garcia Lorca, Nazim Hikmet, Andrè Breton, Pier Paolo Pasolini, del teatro di Bertold Brecht, ci appassionammo a Picasso, Rivera, tanto per fare alcuni nomi.

Abbiamo aderito all’Ulivo di Romano Prodi e al sistema elettorale maggioritario sino alla fondazione nel 2007 del Partito Democratico di Walter Veltroni. Ed ancora, nel 2013, abbiamo accettato l’elezione, per la seconda volta, dell’ambiguo esponente storico della corrente della “destra” del PCI, Giorgio Napolitano, oppositore interno al partito contro Berlinguer, dopo il celebre tradimento dei 101 franchi tiratori che non votarono per Prodi Presidente della Repubblica, ma preferirono sciaguratamente le larghe intese con il Pdl di Silvio Berlusconi, con il quale peraltro Napolitano mantenne solidi rapporti. Da questa fase inizia purtroppo il degrado della sinistra che ha portato senza colpo ferire all’elezione dell’uomo della Leopolda, il mentitore seriale Matteo Renzi, e all’autoritarismo successivo del leghista poco umano Matteo Salvini. Tristi personaggi cresciuti nel clima consumistico e a-ideologico del berlusconismo.

Oggi stiamo vivendo l’improvvisa quanto salutare crisi dell’estate 2019 che sta evolvendosi, nell’era post-ideologica, all’insegna della finta e innaturale libertà di allearsi con tutti. Ciò avviene al di là delle convinzioni, delle fedi politiche, della storia. Niente destra, niente sinistra che vengono falsamente considerate categorie superate. Ma quando mai!

Cari compagni e amici del Pd – ribadisco ciò che scrivevo nell’aprile del 2018 – non è vero che in un periodo definito post-ideologico come gli interessati e opportunisti libertari sostengono, che non esiste la sinistra e non esiste la destra; non è vero che possiamo fare tutto quello che vogliamo all’insegna di una finta ritrovata libertà d’agire e di scegliere. Non è così! L’ideologia sostiene la capacità immaginativa del mondo, lo giustifica, lo potenzia. Guarda al futuro.

Parliamo invece della clamorosa sconfitta del Pd del 4 marzo 2018 che ha stravolto, aggiungo io, positivamente lo stesso concetto di una sinistra che ha perso da qualche tempo la sua vera identità. Considero ciò un fatto molto positivo poiché un evento traumatico come questa disfatta elettorale costituisce un’occasione per riflettere sul da farsi, per ritrovare il senso fondante di una scelta ideologica che lo faccia rinsavire e uscire fuori dal pantano determinato dal potere di un mentitore seriale, uomo di destra e figlio putativo di un “pregiudicato naturale”, in questi anni sciagurati. Un partito bloccato, annullato e stravolto da decisioni antidemocratiche che di fatto hanno paralizzato le scelte ideologiche essenziali, mortificate da una dissennata politica personalistica.

Siamo, allo stato attuale, di fronte ad un partito senza prospettive, senza voglia di rinnovamento. All’interno tutti sanno quale sono le soluzioni per ricominciare, ma tutti intimiditi da un potere di veto ingiustificato fingono di non capire. Non vogliono riordinare le idee e riflettere sulla fisiologica perdita di consenso di una base che non accetta la finta narrazione di un partito arroccato su posizioni demagogiche e false.

Non sono io a dirlo. La sinistra per definizione nasce per difendere le diseguaglianze tra gli uomini, nasce per i più deboli. Ha ragion d’essere solo se ridistribuisce diritti e doveri sociali. Se invece potenzia e agevola le disparità laceranti di una globalizzazione selvaggia e disumana che sempre più crea la distanza tra la ricchezza e la povertà, non è sinistra. La “globalizzazione”, termine creato e adottato ad hoc da analisti per giustificare l’inevitabile disparità tra ricchi e poveri del pianeta poiché comanda il “mercato”, quindi il profitto, vuole rendere ogni discorso sociale inutile poiché tutto viene giustificato da questo ipocrita termine auto-assolutorio. È questo, a mio modesto parere, il vero grande problema che la politica di sinistra principalmente non affronta, ma addirittura colpevolmente ignora.

Il Pd storicamente nasce come partito popolare e non populista come è sempre stata la destra in tutte le sue sfaccettature che egoisticamente ha sempre difeso i privilegi di pochi ignorando i problemi degli altri.

Il momento storico dell’Italia è in una fase molto delicata e critica. Il nostro paese è stato travolto da questo vento populista di destra che sta sempre più confondendo le carte in tavola in Europa, che tra l’altro a tutt’oggi oltre la moneta unica, sono venti anni che entrato in vigore l’euro, non ha un vero assetto unitario della politica condivisa. Seppur ciò avviene dappertutto, anche l’Italia impreparata ai cambiamenti si è ritrovata pressata dalle conseguenze dell’immigrazione e dalla concorrenza dei paesi emergenti, dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale e dalle speculazioni economiche. Siamo entrati, senza accorgercene in una spirale che non presenta facili soluzioni, almeno nell’immediato, soprattutto dall’ignara classe politica in generale. La finanza internazionale libera di muoversi a piacimento nel cosiddetto mercato globale è divenuta in breve tempo molto più potente della politica. Addirittura ne determina le decisioni e i comportamenti.

Di questo dovrebbe, non a parole, preoccuparsi veramente il Pd che ha tradito la sua storia e la sua funzione. Ristabilire gli equilibri ridistributivi sia dei capitali che delle risorse. Vigilare sull’accumulo di potere nelle grinfie di pochi senza opportuni e necessari controlli. Dare un nuovo democratico significato del termine globalizzazione intendendolo come ridistribuzione dei valori umani e delle risorse planetarie.

Riflettiamo allora cari compagni e amici del Pd. Abbandonate l’irresponsabilità e la finta improduttiva opposizione per partito preso pilotata ancora oggi dall’ex segretario Matteo Renzi e lasciatevi finalmente andare, con libertà ed onestà di pensiero, verso la riflessione e le motivazioni fondanti della sinistra che deve occuparsi di uomini, delle diseguaglianze, delle fasce più deboli e indifese della società italiana e non del potere per il potere, stando in silenzio senza dire parola. Fare opposizione non motiva e definisce che cosa fare, quali scelte operare per il bene del nostro paese. Fare opposizione, cari compagni “senza il patetico mentitore seriale” dovrebbe significare mettere in moto capacità propositive, rispettose della Costituzione del Parlamento “luogo di rielaborazione politica e legislativa” e dei valori condivisi da una democrazia partecipata che deve tenere conto del popolo e non può fare delle scelte dissennate come quelle di questi tragici anni basati sul nulla politico senza un vero progetto, senza alcun obiettivo. Quindi senza attenzione alla storia. Non strombazzate per interposta bocca del vostro aguzzino mentitore che all’“opposizione vi ci hanno mandato gli elettori”. Cari compagni la vera opposizione è sempre propositiva e alternativa a chi governa. Ad un’azione affidata alla vera politica è affidata la nostra speranza di cittadini. Per questo ci chiediamo cosa diventerà il partito democratico dopo una sconfitta così grave senza tenere in conto dei valori fondanti della sinistra?

Riconfermo oggi, 3 settembre 2019, quello che ho scritto l’anno scorso che prima ho riproposto per riflettere ulteriormente, aggiungendo anche che lo stesso mentitore seriale ha determinato la scelta del partito in tale direzione sollecitando il matrimonio dei “Grullini” con i “Pidioti” (sic!). Stiamo attenti però, teniamo conto della sua passione per il potere. Fate attenzione amici del PD. Renzi vuole sostituire Zingaretti, riappropriarsi del Partito, vuole riappropriarsi della scena politica e mal che gli vada fondarne uno tutto suo. Allo stato attuale l’Italia arrabbiata e confusa ha allontanato il periodo del populismo e il sovranismo dell’impresentabile Salvini sbattuto fuori dal governo, con un inatteso autogol suicida.

Prendiamo inoltre atto senza se e senza ma, senza puzza sotto il naso che il comico Grillo, inventore assieme a Casaleggio del movimento 5s, è oggi il vero padre del governo Conte da tutti sostenuto, anche internazionalmente, assieme al presidente Mattarella.

Inaspettatamente il PD, per anni all’opposizione, torna al governo del paese, come partner del partito di maggioranza. Forse questa è un’occasione da cogliere, nata miracolosamente in questa estiva crisi di Governo. Crisi non certamente istituzionale, neppure politica ma crisi culturale di un paese invecchiato che ancora oggi non è riuscito a liberarsi definitivamente di un periodo tragico che ha preceduto la formazione della Repubblica Italiana. Concludo questa nota affermando con forza e convinzione che qualunque cosa ci offre la realtà politica del momento, oggi come sempre per quello che mi riguarda non sarò mai fascista né totalitarista. Insomma non sarò mai un uomo di destra, ne tantomeno un finto ed opportunista uomo di sinistra.